Perché chiudono i negozi Amazon

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Spesso e volentieri gli articoli di Amazon che vi proponiamo sul nostro sito, riguardano innovazioni e evoluzioni che la società e-commerce, leader nel settore mondiale della vendita online, mette sul tavolo praticamente ogni giorno.

Questa settimana ci focalizziamo sulla chiusura dei negozi fisici di elettronica di consumo e delle librerie di Amazon, aperti qualche tempo fa con l’obiettivo di presidiare la vendita al dettaglio oltre che quella online. Chiusura che oggi ci suona quasi come un ritorno al futuro. La decisione dell’amministratore delegato, Andy Jassy, in carica dallo scorso luglio, arriva dopo una riflessione già avviata sui risultati del segmento fisico che ha portato tra l’altro alle dimissioni di Cameron Janes, ex VP dell’ambito retail, lo scorso novembre.

La quota di ricavi realizzata dai negozi “reali” (e parliamo solo il 3% dei 137 miliardi di dollari di vendite di Amazon dell’ultimo trimestre) è infatti quasi interamente attribuibile al settore alimentare. Per cui ecco perché a restare aperti, come riporta Reuters, saranno i soli negozi di grocery, in vista dello sviluppo di un progetto di distribuzione più ampio, una sorta di “grande magazzino” targato Amazon.

E dire che nei cosiddetti punti vendita “4-stars” Amazon aveva reso disponibili, tra l’altro, i prodotti più venduti e meglio recensiti online, sperando di attirare i visitatori con il potere dell’algoritmo. Ma c’è algoritmo e algoritmo, se l’idea di proporre ai clienti “fisici” il meglio degli articoli graditi agli utenti “virtuali” è stata abbandonata per l’elettronica, la sperimentazione di Amazon continua sul fronte della moda, con l’inaugurazione a Los Angeles di uno store a marchio Amazon Style, dove le persone possono ricevere consigli personalizzati semplicemente scansionando gli articoli in vendita.

Non una semplice selezione, insomma, ma un’esperienza su misura del singolo acquirente, una vera combinazione tra passato e futuro, con le tecnologie di recommendation che uniscono le forze con la disponibilità tangibile delle merci.

Visto da ora, questo tentativo di Amazon smette di somigliare a una indebita intrusione nel mondo del commercio tradizionale o a una scommessa sul fatto che allargarsi oltre la Rete sia possibile e proficuo per un marchio che nella stessa Rete ha costruito la propria forza. Si tratta invece di progettare un modello che quasi potremmo definire “ibrido”, in cui è possibile offrire i vantaggi di entrambe le dimensioni: la possibilità, grazie ai dati, di leggere istantaneamente desideri e preferenze delle persone e quella, grazie alla logistica (anch’essa debitrice ai dati della propria leggendaria efficienza), di esaudirli pressoché in tempo reale.

Se Amazon riuscirà in questa progettazione (perché tutto è ancora da vedere) di certo, per continuare a viaggiare tra passato e futuro, non potrà fare a meno di affidarsi al veicolo nel quale si muove più a suo agio e che ne ha decretato il successo, il veicolo della customer obsession, il cui unico carburante è la centralità indiscussa del consumatore.

Resta tutto da vedere quindi, ma quel che è certo è che in passato in situazioni del genere Amazon non ha mai fatto colpi bassi che mettessero in gioco milioni di investimenti.

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