Cosa significa crescere un figlio oggi in Italia

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Le culle vuote lungo lo stivale italiano preoccupano ma non è certo casuale che la fase più nera della natalità italiana coincida con un decennio di crisi economica, che si è portata via un quarto della produzione industriale.

Nel decennio iniziato nel 2009 si è registrato un calo medio costante annuo del 2,8% del numero di figli. Nel 2020 sono nati 404.892 italiani, 15 mila meno che nel 2019. La pandemia non ha certo aiutato, il 2021, anno in cui l’Istat ha censito solo 399.431 bambini, in calo dell’1,3% sul 2020 e quasi del 31% dal 2008, anno dell’ultimo picco relativo di nascite.

Il governo da tempo attrezza incentivi e agevolazioni come l’assegno di natalità, i bonus Mamma domani e Asilo nido, l’assegno unico figli; ma non bastano a invertire la tendenza, né basteranno nella nuova fase congiunturale, in cui i prezzi di beni e servizi rincarano di oltre il 5% annuo medio, e l’abbinata pandemia-guerra poi promette di ridurre i redditi di milioni di italiani, specie più giovani.

Come se non bastasse, lo scorso dicembre, l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha pubblicato un rapporto sui costi dei figli, sempre fino ai 18 anni, rilevando oneri anche superiori rispetto a quelli che aveva già sottolineato Moneyfarm.

La cifra media era 175.642 euro, con un minimo di 118.234 euro per i redditi più bassi (famiglia bigenitoriale con 22.500 euro di entrate annue), estensibile a 321.617 euro in caso di famiglie ad “alto reddito”, pari a 70 mila euro l’anno.

Cifre già allora lievitate, dell’1,2%, rispetto al 2018 e ancora non era tornata l’inflazione. Federconsumatori aveva commentato così:

“Fare un figlio sta diventando un lusso riservato a pochi, sempre meno italiani sono in grado di permetterselo. Le misure del governo rappresentano un passo in avanti, ma è necessario avviare politiche a tutela della famiglia, della natalità e soprattutto del lavoro, per garantire condizioni migliori alle famiglie, oggi costrette a continui sacrifici”.

Questo ormai è assodato, perché data l’entità della spesa, non dissimile a quella necessaria per un’abitazione, è corretto fare una vera e propria pianificazione patrimoniale, prima di allargare una famiglia dove già si fanno i conti con, affitti, mutui e caro bollette.

“E’ un passaggio che andrebbe programmato per tempo in modo da allocare gli investimenti nel modo migliore per soddisfare le esigenze di crescita del bambino – suggerisce Moneyfarm, secondo il consulente di fiducia si dovrebbero – pianificare gli obiettivi e gli strumenti d’investimento più adeguati e il livello di rischio, per realizzare l’obiettivo prefissato”.

Tutto questo è fondamentale se non si vuole essere costretti a dire di NO ad un figlio che magari, resta lì in disparte a guardare, compagni di classe che invece possono permettersi abiti non di seconda mano, o studi scolastici e sportivi che ne permettono uno sviluppo concreto nel corpo e nella mente.

Bisogna inoltre ricordare che tutti i conti fatti, arrivano all’età di 18 anni ma arrivati a questo punto, in Italia nessuno è ancora in grado di mantenersi da solo. Di fatto se non si è benestanti è difficile, lavorare, andare all’università e mantenere una casa tutto insieme. Quindi a questo punto ci si chiede quanto sia giusto, negare gli studi anche dopo la maggiore età, ad un figlio che non ha scelto di venire al mondo ma che è stato imposto da una società ancora mentalmente arretrata.

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