Quali sono stati gli andamenti del dollaro sotto le elezioni
Le elezioni negli Stati Uniti sono quasi al termine e la campagna elettorale precedente sta già influenzando leggermente la traiettoria del dollaro. Qualche mese fa abbiamo assistito a un rafforzamento del Dollar Index prima del dibattito tra Joe Biden e Donald Trump.
Ciò è avvenuto in un contesto in cui si moltiplicavano i segnali di stanchezza e gli errori di comunicazione del Presidente democratico, mettendo in serio dubbio le sue possibilità di vittoria contro Donald Trump.
Il dibattito televisivo ha confermato questi timori, mettendo sotto pressione il campo democratico. Meno di un mese dopo, Joe Biden ha annunciato che non si sarebbe presentato per la rielezione. Il dollaro è quindi sceso rispetto alle principali valute per tutto il mese di agosto.
Vi chiederete perché Trump è associato all’andamento del dollaro. In primo luogo, perché è percepito come il candidato che ridurrà le tasse per le imprese e le famiglie statunitensi, in particolare per i più facoltosi. Questo era uno dei temi della sua campagna elettorale nel 2016 e lo è stato anche nel 2024.
I tagli fiscali tendono a favorire i consumi e l’attività economica, ma anche l’inflazione. Gli annunci della campagna elettorale su questo tema tendono a far salire i tassi d’interesse statunitensi e il dollaro, poiché la Federal Reserve (Fed) potrebbe essere costretta a mantenere i tassi a un certo livello per evitare il surriscaldamento dell’economia e dei prezzi.
Donald Trump è associato a un dollaro forte anche perché la promozione di misure protezionistiche, in particolare sui beni provenienti dalla Cina attraverso l’aumento dei dazi commerciali, è percepita come inflazionistica in quanto aumenta il prezzo dei beni importati. Questo aumento potrebbe essere trasferito al consumatore finale di tali beni.
Infine, l’adozione di forti misure protezionistiche può anche indebolire i Paesi o le zone economiche contro cui tali misure si applicano, pesando sulle loro valute e portando a un rafforzamento “predefinito” del dollaro.
Il suo opposto è Kamala Harris, percepita invece come un candidato “ribassista” per il dollaro. Durante la pandemia e dopo, il Presidente Biden ha attuato una politica fiscale espansiva volta innanzitutto a sostenere l’economia USA a fronte della crisi sanitaria, ma anche a rafforzare alcuni settori strategici contro la concorrenza cinese, promuovendo al contempo lo sviluppo di nuove energie e il potenziamento delle infrastrutture.
Questa politica ha portato a un massiccio aumento del deficit, ed è evidente che questo ritmo non potrà essere mantenuto per altri anni. Se Kamala Harris dovesse vincere le elezioni presidenziali, dovrebbe quindi applicare una politica fiscale più moderata, probabilmente con un aumento della tassazione sulle imprese, sulle famiglie più facoltose e sulle plusvalenze.
Questa politica meno espansiva sarebbe compatibile con l’“atterraggio morbido” dell’economia statunitense auspicato dalla Fed, consentendo alla banca centrale di continuare il suo ciclo di riduzione dei tassi senza rischiare una rapida ripresa dell’economia e dell’inflazione. Questo contesto potrebbe essere ribassista per il dollaro, inizialmente a causa di un tasso di crescita economica statunitense leggermente più debole, ma anche di una politica commerciale estera generalmente meno “dura” rispetto al mandato di Trump. Ciò potrebbe favorire un continuo rimbalzo dell’euro rispetto al dollaro per qualche tempo.
Lo vedremo fra pochi giorni, quando i risultati delle votazioni saranno pubblicati.
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