Esperienza Covid, dal punto di chi l’ha vissuto
14 giugno 2021 – chi è arrivato a questo punto, senza conoscere cosa significa avere a che fare con il Covid, può ritenersi molto ma molto fortunato. Chi invece ha provato questa esperienza, sa quanto sia debilitante per il proprio fisico ma anche per la propria psiche senza dimenticare che si propaga come un’onda che travolge in maniera inesorabile anche chi circonda, la persona affetta da Covid.
A un anno e sei mesi dalla diffusione del Covid-19 nel mondo, ancora tante, troppe sono le persone che prendono sottogamba il problema. Positivi, asintomatici che vanno in giro a fare la spesa e a lavorare, perché tanto loro stanno bene.
C’è chi li chiama negazionisti, alcuni sono morti, ne ho avuto prova intervistando dei medici, rifiutano le cure, fino a quando poi non è troppo tardi per tornare indietro.
Ritengo quindi sia importante ascoltare le parole di chi ci è passato direttamente, per aver chiaro il fatto che una volta entrati in questo circolo, chi ne esce è dannatamente fortunato.
Dopo aver ascoltato l’esperienza di alcuni medici, in prima linea da ormai più di un anno ho deciso di intervistare chi ha avuto il Covid. Premetto che io stessa, quest’anno, a differenza del 2020 ne conosco molti di più, alcuni amici hanno perso il padre o la madre, nei momenti peggiori, momenti in cui era vietato fare anche i funerali, rimanendo a casa costretti a non poter dare l’ultimo addio ad un genitore.
Per privacy non farò il nome di chi ho intervistato, ma la persona che ho incontrato è entrata in un vero girone dantesco dal 3 maggio, quando la febbre è iniziata a salire. Da quel momento c’è stato un susseguirsi di eventi, giorno dopo giorno. Nel giro di 3 giorni si è arrivati all’uso dell’ossigeno, alle siringhe di eparina per scongiurare un embolo e ovviamente ai relativi tamponi.
Il primo per la conferma che si tratti di Covid-19, come da regolamento il secondo si fa dopo 15 giorni. Per fortuna negativo. Un terzo tampone, dopo una decina di giorni per avere la conferma che effettivamente il mostro sia passato.
E mentre tutti sono intenti a festeggiare il primo tampone negativo, non tutti sanno che in realtà nell’organismo i polmoni continuano incessantemente ad essere colpiti e nonostante l’esito negativo, il rischio è sempre comunque alto. Lo sa troppo bene il nostro interlocutore che in quei momenti, tornava anche a sentirsi meglio fino ad un giovedì pomeriggio, quando una crisi respiratoria lo costringe al ricovero.
In quel momento, oserei dire che parte il vero inferno, non faremo il nome del primo ospedale (in cui è stato un solo giorno e che gli ha procurato ematomi ancora vistosi) che fa da smistamento per i reparti di terapia intensiva, dove poi si effettua la cura, la vera guerra.
“Dobbiamo bombardare”
Queste le parole del primo medico che nel reparto di terapia intensiva ha accolto la persona che stiamo intervistando.
Solo dopo 9 emogas (procedura molto dolorosa) 15 prelievi, 6 giorni in terapia intensiva, 8 giorni in reparto, 50 flebo fra antibiotici e protezioni, pastina in brodo in quantità incalcolabile, il trombo che rischiava di ucciderlo si scioglie, la TAC mostra un grande miglioramento e il nostro intervistato potrà tornare a casa.
Ora mentre parla con noi, prende 6 farmaci al giorno, alcuni di questi dovrà portarli con sé almeno per un anno, non fare sforzi e non può ancora tornare a lavoro.
Noi gli auguriamo una pronta guarigione e speriamo che racconti come questo siano ben saldi nella mente di chi continua a non avere rispetto per il prossimo.