Il Traditore

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Il cinema italiano ci ha regalato una perla che ha scatenato 13 minuti di applausi a Cannes.

Pierfrancesco Favino nei panni di Tommaso Buscetta, anche detto il “Boss dei Due Mondi”.

Estradato dal Brasile fa ritorno in Italia, protetto dallo Stato italiano dalla guerra scatenata da Totò Riina e il clan dei Corleonesi per il controllo del traffico di droga. Gli hanno già ammazzato un fratello e due figli e il prossimo è destinato ad essere lui. Decide di vendicarsi iniziando a collaborare con la giustizia, il suo referente ed emissario dello Stato è Giovanni Falcone, con un nasce una certa intesa.

Buscetta diventa così il più celebre pentito della storia italiana, innescando una serie di rivelazioni che porteranno al famoso maxi-processo a Cosa Nostra del 1986, 475 imputati e oltre 200 avvocati radunati in un’aula.

Tra di loro non c’è Riina, che nel 1992 progetta la famigerata Strage di Capaci, in cui perde la vita proprio Falcone.

Punta il dito anche contro la convivenza fra Stato e Mafia e forse proprio per questo, screditato da entrambe a seguito di una semplice crociera che fa con sua moglie, additato come un falso che sperpera i soldi dello Stato.

Finirà i suoi giorni a Miami, in esilio, proprio come aveva desiderato lui, nel suo letto.

Ad ucciderlo non sarà Cosa Nostra ma il cancro a 71.

Eppure l’appellativo datogli che qui viene utilizzato come titolo del film, da Buscetto fu sempre rifiutato. Di fatto nella sua visione, più volte ripetuta ai giudici, quelli che avevano tradito la storia e le regole della mafia siciliana erano i corleonesi, assassini spietati che non si fermavano di fronte a niente, uccidendo innocenti e ragazzini.

Pierfrancesco Favino, ci presenta un Buscetta orgoglioso, con il suo lato umano fragile e spaventato a cui Bellocchio costruisce un racconto storico.

Bellocchio riporta in vita un passato, poi neanche tanto passato ma facilmente dimenticato da noi contemporanei. Indubbiamente lo spettatore si trova il silenzio, avanti allo schermo ad ammirare un grande attore che piano piano scompare dietro ad una maschera perfettamente orchestrata.

La maschera è il volto di un uomo che guardiamo e che ci fa provare svariati sentimenti, rabbia, incredulità, stupore. Lo ritroviamo poi in tribunale, quasi fosse posto su un piedistallo, lo sappiamo che è un uomo che ha ucciso, ma quasi il suo passato, inizia a poco alla volta a non contare più.

Quello che se ne ricava è che c’è stato uno studio lungo e approfondito da parte di Bellocchio e di Favino. L’interpretare di Tommaso Buscetta è voltato fino in Brasile, ha cambiato accento e usato tutta la sua maestria per studiare al meglio il personaggio.

Che lui stesso ha commentato a Cannes con queste parole:

“Il male è molto più pericoloso quando ha una veste luccicante: è molto più facile pensare al male se lo riconosciamo. In uno dei suoi interrogatori, Buscetta dice al giudice che per fargli paura deve pensare che quando parlano, lui non sia pericoloso, perché se lo pensasse crederebbe che lui sia un criminale. Invece per parlare con Buscetta, Falcone deve essere gentile, facendo capire che non si può permettere di trattarlo male, ma sempre con gentilezza. La sua attenzione nei confronti della forma era anche una grandissima vanità: era un uomo che andava dal sarto, si sceglieva i vestiti, le stoffe, ci teneva molto, ma poi le origini ti tradiscono, c’è sempre qualcosa che sfugge, anche dal punto di vista dello stile. Certo è che rispetto all’iconografia del mafioso con la coppola Buscetta era, ed è rimasto, un completo outsider, fatto che ha contribuito anche a costruirne la leggenda”.

Ho apprezzato molto la sua versione dell’aula di tribunale che si fa zoo per bestie in gabbia che ora non possono più nuocere a nessuno e che perdono tutta la loro forza e la loro sfrontatezza, spegnendosi sempre di più, dietro le sbarre.

Tutto questo ha portato ad un successo che avremmo voluto vedere coronato dalla Palma d’oro.

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