Anche la F1 fa i conti con i problemi economici

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Il Coronavirus sta mettendo il mondo intero in difficoltà, pratica non c’è un aspetto della nostra vita che non si sia salvato dal caos della pandemia. Al momento solo il web è salvo e per nostra fortuna, siamo qui, ancora a scrivervi, ancora a tenervi aperti questa finestra sul mondo.

Dal punto di vista economico, anche la Formula 1 inizia a sentire il peso dello stop. Dopo il calcio, tocca quindi anche ai piloti delle monoposto vedere i loro stipendi decurtati. A ragione, visto che sono pagati per correre e finora non hanno mosso un metro di gara.

Ma come funziona il pagamento degli stipendi di un pilota professionista?

Non esiste una regola fissa per tutti, ma proviamo a semplificare i vari passaggi per far capire meglio come funziona.

Un pilota professionista, è di fatto una azienda con una Partita Iva, tanto per intenderci e come tale è quindi soggetto alle tasse. Quindi, quando a fine mese (o nel periodo stabilito dal contratto) arriva la scadenza del bonifico, gli verrà comunque emessa una nota fiscale da parte di chi lo paga, con tanto di ritenute alla fonte che va a seconda del paese in cui ha la residenza.

Qui iniziano le differenze, considerando che le tasse si pagano alla fonte in alcune nazioni.

Visto che l’attività viene svolta in diversi paesi del mondo, lo stipendio del pilota sarà soggetto alla tassazione prevista per quel dato paese. Ad esempio, negli USA ogni forma di pagamento professionale è soggetto a tassazione in loco. Quindi quando un pilota va a correre negli USA, lo stato trattiene la quota di tasse dovuta per il reddito prodotto in loco. Stessa cosa per altre nazioni, in Europa vige più o meno lo stesso regime fiscale per cui avviene lo stesso trattamento previsto per tutti i lavoratori comunitari.

Inoltre lo stipendio viene diviso in tante voci.

Se prendiamo lo stipendio di Lewis Hamilton, circa 45 milioni all’anno e dovessimo dichiararlo negli USA, lo stato americano potrebbe trattenere una grossa cifra, ma qui scatta la suddivisione del pagamento al pilota. Infatti la “busta paga” di un professionista è composta da tante voci. Se ad esempio parliamo di una stagione con 22 gare. Lo stipendio di Hamilton viene diviso per 22 prestazioni professionali, i giorni di impegno al simulatore in sede, i giorni di test privati, i giorni di disponibilità con gli sponsor durante la stagione. Quindi i 45 milioni di stipendio totale vengono suddivisi in tutte queste voci.

A seguito della divisione, prendendo sempre ad esempio il campione in carica Lewis Hamilton, andando a correre negli USA avrà una trattenuta inerente la sua prestazione d’opera sul territorio americano, che sarà un 22esimo dello stipendio totale, detratti gli importi dovuti per le altre attività. In questo modo la tassazione sarà relativa a una piccola parte dello stipendio e non sulla cifra complessiva intascata.

Non bisogna poi dimenticare che ogni pilota ha poi una assicurazione personale che lo tutela. Alcuni hanno una assicurazione che prevede il pagamento delle spese mediche ed ospedaliere con una copertura massima per morte o infortunio. Visto che l’attività è rischiosa, uno come Hamilton, sui 45 milioni di euro di incasso totale, potrebbe pagare anche 3 o 4 assicurazioni.

Inoltre visto che in caso di infortunio non possono prestare l’opera prevista, l’assicurazione copre i soldi di mancato incasso relativo a quel periodo. Ad esempio, il pilota A si fa male, salta due gare, l’assicurazione pagherà la sua quota di spese ospedaliere e la parte di stipendio non percepita.

 

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