Quando durano gli anticorpi del vaccino contro il Covid

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Alcune delle domande che più ci assillano da quando il vaccino contro il Covid-19 ha iniziato a concretizzarsi è quanto durerà nel nostro organismo. Quando dovremo tornare a fare il richiamo? Un anno o anche meno? Sono meglio una o due dosi?

Per questo abbiamo provato a fare qualche ricerca in merito per meglio comprendere quali sono i risultati attuali a cui la scienza è arrivata. Ricordiamo infatti che in principio, pochi medici e più nessuno, hanno affermato quanto bisognava ancora scoprire in merito alla durata del vaccino nel corpo umano. Questo perché come è facile comprendere, non abbiamo avuto il tempo materiale per scoprirlo. Di fatto in alternativa, avremmo dovuto aspettare un altro anno prima di avere questa certezza. Tempo che ovviamente non avevamo.

Già da qualche settimana comunque è partito lo studio su operatori sanitari post vaccinazione chiamato Sierovac. È Vittorio Sambri, direttore dell’Unità Operativa di Microbiologia del laboratorio unico di Pievesestina, il Principal investigator che insieme ad Ausl Romagna ha intrapreso lo studio che terminerà a marzo 2022.

Lo scopo della ricerca, ricordata da il Resto del Carlino, è valutare la durata dell’immunità post vaccino. Le dosi PfizerBioNTechModerna, contenenti l’informazione genetica necessaria alle cellule umane per produrre proteine virali, hanno una copertura documentata di 45 mesi. Conoscendo il decorso dettagliato degli anticorpi si possono presupporre strategie future di vaccinazione adeguate all’effettiva disponibilità dei vaccini. d. g.

Affermazioni queste, da prendere con le pinze. Di fatto, questo almeno è ciò che si pensa al momento, all’atto pratico bisognerebbe scoprire, attraverso il sierologico, quanti sono gli operatori sanitari che hanno ancora la copertura vaccinale.

Al momento “quello che sappiamo” è che con una sola dose di vaccino il sistema immunitario ha per così dire, la memoria corta.

Andrea Cossarizza, immunologo dell’Università di Modena e Reggio Emilia ha dichiarato, in un’intervista riportata da la Repubblica:

“Il richiamo serve non solo ad aumentare il numero di anticorpi, ma gli permette anche di fare un salto di classe – e spiega – I primi a essere prodotti si chiamano IgM, sanno riconoscere il coronavirus ma in modo ancora un po’ grossolano e non durano nel tempo. La seconda dose permette di compiere il salto di classe. Le Igm lasciano spazio alle IgG, anticorpi capaci di legarsi al coronavirus in modo più raffinato e preciso e più duraturi”.

Non è un caso che quasi tutti i vaccini destinati a durare per tempi lunghi prevedano 2 dosi. A perderci, limitandosi a un’unica iniezione e rimandando la seconda, non sarebbe dunque solo l’efficacia complessiva, in termini di qualche punto percentuale di contagi. Di fatto l’immunologo continua spiegando:

“Gli anticorpi che sviluppiamo prima del richiamo non sono l’ideale, per riconoscere il coronavirus. E una protezione al di sotto dell’optimum dà al virus delle chance di sfuggire al sistema immunitario, sviluppando varianti più resistenti”

Sul dibattito fra 1 o 2 dosi e sui tempi del richiamo, pesa il concetto sopra anticipato e cioè che per quanto possano essere stati approvati, questa parte è come fosse ancora in via di studio. Di conseguenza, le risposte a molte domande semplicemente non esistono.

Non sappiamo quanto tempo impiega l’organismo a produrre la spike del coronavirus – il cosiddetto antigene – né quanto dura la protezione del vaccino in termini di mesi o anni. Con quanta velocità, poi, i diversi tipi di vaccino spingono il sistema immunitario ad attivarsi? Non a caso abbiamo visto persone, vaccinate solo con la prima dose, prendere il Covid.

Le sperimentazioni più recenti, hanno messo insieme soprattutto dati epidemiologici, ovvero quanti vaccinati si sono ammalati, quanti sono morti, che età avevano. Poco o nulla si sa di quel che è avvenuto all’interno del loro organismo.

In merito Cossarizza spiega:

“A Modena abbiamo deciso di testare noi stessi. Dopo una dose, alcuni di noi avevano titoli bassi, che sono schizzati in su dopo la seconda dose. Un dato che non sappiamo spiegarci è che gli IgM sono stati spesso bassi o assenti, mentre a volte sono comparsi subito gli IgG”.

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