Recupero crediti, i limiti da non superare

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È finite il tempo in cui il recupero crediti passava attraverso le telefonate che effettivamente arrivavano poi a violar la privacy e il riposo delle persone, configurando il reato di molestie e addirittura in situazioni ancora più gravi, di stalking.

Ad affermarlo è stata persino la Cassazione che ammonisce pesanti sanzioni per chi non rispetta la legge.

Il processo di recupero crediti, quando diventa troppo invasivo e insistente, può facilmente superare la soglia del lecito e trasformarsi in un reato.

Succede, appunto, quando una società di recupero “tempesta” letteralmente il debitore con un’incessante sequenza di telefonate. In questo caso, può configurarsi il reato di molestie, addirittura penalmente punibile con la detenzione fino a 6 mesi o con un’ammenda fino a 516 euro.

In situazioni più gravi, in cui il comportamento è ancora più insistente, arrivando addirittura alle minacce, può prefigurarsi il reato di stalking. Secondo la legge, infatti, chiunque minacci o molesti verbalmente in modo reiterato e prolungato una persona, può essere punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni.

In merito, la legge definisce come reato di stalking tutti quei comportamenti in grado di:

“provocare uno stato d’ansia o grave paura nella vittima, suscitando un fondato timore per l’incolumità propria, di un familiare stretto o di una persona legata da una relazione affettiva, o costringendola a modificare le proprie abitudini di vita”.

Inoltre, come avviene per altre professioni, le agenzie di recupero crediti devono ovviamente rispettare un codice di comportamento etico. In particolare, il personale iscritto nei registri di qualifica dell’Unione Nazionale Imprese a Tutela del Credito (Unirec) è vincolato al rispetto di un vero e proprio codice deontologico.

Questo implica, ad esempio, l’obbligo di non esercitare pressioni sul debitore, per costringerlo al pagamento o di evitare comportamenti vessatori e petulanti.

Nello specifico una recente sentenza della Corte di Cassazione ha confermato che il reato di molestie, previsto dall’articolo 660 del Codice Penale, può scattare anche quando il fine è lecito, come ad esempio nell’attività di recupero crediti.  La sentenza sottolinea che “il reato di molestie mediante telefono o altri mezzi, perpetrato per petulanza o altri motivi biasimevoli, si configura anche quando il fine è legalmente giustificato”. Nel caso di specie, gli operatori della società di recupero crediti interessata dall’ordinanza effettuava fino a 6 chiamate al giorno, sia al debitore che ai suoi parenti e persino conviventi, utilizzando anche numeri diversi per evitare di essere riconosciuti.

Questo comportamento è stato considerato molesto, “poiché il ricevente dei messaggi è stato sottoposto non solo al disagio di ascoltare tali messaggi, ma anche alla percezione di essi, poiché entrambi i tipi di messaggi erano idonei a mettere a rischio la libertà e la tranquillità psichica del destinatario”.

Risulta evidente, quindi, che il recupero crediti deve essere svolto nel rispetto della legge e dei diritti delle persone coinvolte, evitando di superare i limiti che separano l’azione legittima da comportamenti persecutori o illegali. Per avere un esempio vi consiglio di consultare lo STUDIO GIUSEPPE LEO.

In conclusione, il creditore che sconfina nella sfera privata altrui, violandone la privacy o il riposo, può rispondere penalmente del suo comportamento.

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