I Cinema italiani contro il Festival di Sanremo

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Il primo a fare delle richieste al Festival più famoso della canzone italiana è proprio il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori). Il quale appunto, chiede di valutare addirittura la sospensione del Festival di Sanremo.

Lo ha fatto, presentando una formale istanza al Prefetto di Imperia, alla Asl1 Imperiese e al Comune della Città dei Fiori, per quel Festival che ogni anno genera le normali discussioni da salotto ma che quest’anno, rischia di far infuriare seriamente tutti i gestori di quei Cinema che per rispettare le norme messe in atto dal Governo per evitare la diffusione del Covid-19, stanno letteralmente facendo la fame, lungo tutto lo stivale.

Il Codacons chiede di valutare la sospensione del Festival di Sanremo se non potranno essere garantite con assoluta certezza la sicurezza e la salute di cittadini e lavoratori. L’annuncio arriva da Ansa. Si legge nella nota del presidente dell’associazione dei consumatori Caro Rienzi:

«Un atto necessario ai fini di un possibile ricorso al Tar per bloccare il Festival di Sanremo in assenza di adeguate misure sul fronte sanitario. […] La situazione che si sta delineando è quella di un Festival a tutti i costi, in cui introiti pubblicitari e interessi economici vengono messi prima della salute dei cittadini. Non è possibile chiedere sacrifici e rinunce agli italiani e poi vanificare la lotta al Covid organizzando un evento della portata della kermesse canora che coinvolge migliaia di soggetti tra lavoratori, artisti, giornalisti e cittadini e crediamo ci siano tutti i presupposti per rinviare il Festival ad altra data.

Per tale motivo abbiamo diffidato Comune, Asl e Prefetto ad intervenire per assicurare la salute pubblica e vietare qualsiasi manifestazione che possa rappresentare un concreto pericolo, pena un inevitabile ricorso al Tar».

Quest’anno il Festival di Sanremo potrebbe non essere quel Festival che tutti conoscevamo un contenitore, non solo di canzoni ma di gossip, spensieratezza nazional-popolare, moda e polemiche (che comunque ritornano sempre ogni anno). Di riflesso non sarà più la stessa neppure la città di Sanremo che nel Festival trova, ogni anno, la possibilità di promuovere un brand affermato in tutto il mondo, ovvero la “Città della musica e Città dei fiori”.

La manifestazione al momento è prevista dal 2 al 6 marzo ma in una cornice del tutto diversa, piena espressione dell’anno “nero” della Pandemia da Covid-19 che stiamo affrontando, non vi dovrebbe essere pubblico e neppure l’ormai famoso palco in Piazza Colombo.

Un cambio che ha forti ricadute, economiche e sociali, sulla città dell’estremo ponente ligure. L’assessore al turismo del comune di Sanremo, Giuseppe Faraldi, non usa mezzi termini per definire questa situazione:

“Abbiamo sperato fino all’ultimo che la situazione sanitaria ci potesse consentire un Festival “vicino” alla normalità. In realtà, quest’anno avremo un festival da studi televisivi, senza pubblico pagante, consono all’anno della pandemia. La mancanza del pubblico pagante per Sanremo significa non aver lavoro per gli alberghi e rinunciare a una clientela prestigiosa e importante per noi. Con i ristoranti e bar chiusi alla sera, la città sarà completamente diversa. Inoltre, senza il palco di Piazza Colombo mancherà gran parte delle maestranze Rai, tecnici, specialisti, ingegner, anch’essi frequentatori, per una settimana, della nostra città. Ma non vi erano altre strade: sicurezza e sanità sono motivi inoppugnabili, non opinioni o pareri. Il problema è che il Festival di Sanremo impatta su una città che ha vissuto un forte calo turistico nel 2020; a parte i tre mesi estivi nei quali abbiamo potuto conteggiare perdite di presenze nell’ordine del -15%, c’è stato lo scorso dicembre in cui siamo arrivati a punte di -90% di calo”.

Insomma, altro lavoro in meno che peserà nelle tasche di moltissimi addetti ai lavori. A tutti queste voci si aggiunge anche è Aldo Alberto, presidente dell’associazione florovivaisti italiani:

“Il nostro comparto si è fermato nel marzo 2020, proprio a cavallo delle stagioni che per le nostre aziende significano di più ovvero la primavera e l’estate. Ha sofferto la pianta in vaso ma anche il fiore reciso, perché sono state sospese le cerimonie private e i grandi eventi, che ci consentivano un buon giro di affari. Siamo riusciti a compensare con le esportazioni all’estero, in parte”.

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