Covid – il volto nascosto degli effetti

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È ufficiale, uno studio ha confermato che Sars-CoV-2 ha la capacità di danneggiare il sistema nervoso centrale e periferico.

Il Covid-19 lascia quindi il “segno” non solo sui polmoni ma anche sul cervello. Nel vero senso della parola. E lo dimostra uno studio che ha analizzato per la prima volta il cervello di 26 pazienti morti per Covid.

Di Long Covid e di effetti sul cervello se ne parla da anni e l’insieme di manifestazioni di natura neurologica e soprattutto psichiatrica che possono perdurare fino a 2 anni dopo l’infezione preoccupano non poco perché sarebbero legate al passaggio del virus a livello cerebrale.

I risultati della ricerca post mortem, pubblicati su Pnas da un gruppo di ricercatori brasiliani confermano la presenza di residui di Rna di Sars-CoV-2 in alcune aree del cervello danneggiate in seguito all’infezione.

Bersaglio più frequente del coronavirus sono risultati gli astrociti, una categoria di cellule nervose deputate alla protezione e al sostentamento dei neuroni, di cui rappresentano la principale fonte energetica. La loro “caduta” a seguito dell’infezione sarebbe responsabile del danno cerebrale e della compromissione di alcune funzioni cognitive (come la percezione, l’attenzione, la memoria, l’apprendimento, il pensiero, il processo decisionale e il linguaggio) e psichiatriche osservate nei pazienti colpiti da Covid-19.

Come già avevano iniziato a fare nei mesi scorsi da altri gruppi di ricerca, i biologi dell’Università di Campinas hanno lavorato prima sulle scansioni cerebrali (ottenute attraverso la risonanza magnetica funzionale) e su una serie di test neuropsicologici per valutare i postumi dell’infezione sul cervello. Protagonisti dello studio 81 pazienti affetti da Covid-19 in forma lieve, che durante la fase acuta dell’infezione non avevano mai mostrato la necessità di ricorrere al supporto dell’ossigeno.

Confrontando le loro condizioni con quelle di un gruppo di pazienti sani, è emersa una maggiore frequenza di condizioni quali l’ansia, la depressione, un senso di generale affaticamento e l’eccessiva sonnolenza diurna.

Evidenze accompagnate dal ridotto spessore della corteccia cerebrale in alcune aree dell’emisfero sinistro (giro retto, giro temporale superiore, solco temporale inferiore e solco collaterale trasversale posteriore) e da performance meno brillanti nei test eseguiti per misurare la flessibilità cognitiva, la memoria verbale episodica e l’attenzione.

Condizioni che in oltre 8 casi su 10 risultavano accompagnate dalla perdita dell’olfatto e del gusto, correlabili al danno a livello corticale, in particolare nella regione orbitofrontale (la più prossima alla cavità nasale).

L’obiettivo dei ricercatori brasiliani era però più ambizioso. Oltre a scattare un’istantanea dei postumi dell’infezione, il loro intento era quello di provare a chiarire l’origine dei sintomi e delle manifestazioni citate.

Con una domanda a fare capolino:

Il danno cerebrale nei pazienti colpiti da Covid-19 è la conseguenza (indiretta) dell’alterazione della risposta infiammatoria o deriva (direttamente) dall’ingresso e dalla replicazione di Sars-CoV-2 direttamente nel tessuto cerebrale?

Un’ipotesi, quest’ultima, plausibile.

Se ACE2, la principale porta di accesso del virus nelle cellule, risulta assente negli astrociti, è vero però che le cellule del sistema nervoso centrale sono ricche di un altro recettore (NRP1) bersaglio di Sars-CoV-2. Per cercare di rispondere a questo quesito, sono così andati oltre, prelevando alcuni campioni di tessuto cerebrale da 26 persone decedute a causa di Covid-19.

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