Amnesty International contro l’Italia
A partire dagli anni ’80, come ormai da tradizione, Amnesty International anche quest’anno ha redatto e pubblicato un Rapporto sulla situazione dei diritti umani nel mondo che comprende l’arco di tempo che va dal 2021 fino ai primi mesi del 2022.
La novità del report di quest’anno però è l’introduzione di schede di approfondimento per molti dei Paesi analizzati, con dettagli circa il lavoro, la violenza contro le donne e la situazione pandemica da Covid-19. Un capitolo è addirittura dedicato anche alla situazione italiana, non particolarmente elogiata dall’organizzazione.
Analizzando nel dettglio i contenuti del report in merito alla situazione dello stivale, si evince che:
Dal punto di vista della Pandemia da Covid-19, a luglio scorso il Governo aveva deciso di prorogare fino alla fine dell’anno lo stato d’emergenza per affrontare la pandemia da Coronavirus. A settembre Draghi aveva anche reso obbligatorio il “green pass” per accedere ai luoghi di lavoro pubblici e privati. Tutto questo senza preoccuparsi, ancora una volta, delle strutture ospedaliere al collasso. Gli operatori sanitari e sociosanitari avevano sollevato preoccupazioni soprattutto per le condizioni di lavoro precarie e insicure nelle strutture per anziani. La risposta è stata quella di sottoporre i lavoratori a procedimenti disciplinari che Amnesty definisce “ingiusti” in quanto i datori di lavoro si sono infatti serviti di licenziamenti e altre misure intimidatorie per metterli a tacere. Nello specifico va sottolineato che Amnesty non addebita al governo italiano tali trattamenti ingiusti, ma ai dirigenti delle aziende sanitarie.
Analizzando poi gli episodi di violenza contro le donne, verificatisi negli ultimi mesi, Amnesty ha evidenziato come in Italia questi accadono ancora con una certa frequenza. In totale, infatti, si conta a fine 2021 che sono state uccise 102 donne, in casi di violenza domestica, 70 delle quali per mano di un partener o ex partner. Anche se a dicembre il Governo ha approvato un disegno di legge volto a prevenire la violenza contro le donne, i risultati sembrano ancora insufficienti. Amnesty considera una forma di violenza anche la negazione di un aborto, il cui accesso è spesso ostacolato dall’elevato numero in Italia di obiettori di coscienza.
Anche sul fronte dei diritti nei confronti della comunità LGBTQI+ l’Italia si è mostrata molto indietro. A ottobre scorso il Senato ha negato il suo consenso all’approvazione di un disegno di legge (DDL ZAN) volto a “combattere la discriminazione e la violenza basate su sesso/genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità”.
Croce nera sul fronte migrazione, con l’accoglienza e la strategia italiana che fa acqua da tutte le parti. Dati alla mano, è stato stimato che, a fine 2021, almeno 300.000 migranti erano ancora in attesa dei documenti necessari ad identificarli. Significa che 300.000 persone non hanno potuto godere appieno dei diritti che spettano ai cittadini, rimanendo in balia di abusi di ogni sorta. A maggio scorso, infatti, un sindacato di base ha indetto uno sciopero nazionale dei lavoratori agricoli migranti, proprio “per protestare contro l’inadeguatezza della misura di regolarizzazione”.
Questo modo di trattare l’immigrazione non va sottovalutato, in quanto spesso, dal fronte opposto si trovano poi personaggi favorevoli, come di fatto è accaduto per migliaia di migranti che hanno preferito mettersi nelle mani della criminalità organizzata, andando così ad occupare le maggiori piazze di spaccio italiane. Molti altri invece, continuano ad essere sfruttati sul posto di lavoro, subendo spesso attacchi razzisti e xenofobi.
L’Italia, continua ad investire male i suoi soldi, destinandoli ad esempio al rimpatrio o addirittura alla guardia costiera libica. A maggio, Moussa Balde, un cittadino della Guinea, si è suicidato mentre era detenuto nel centro di permanenza per il rimpatrio di Torino e altre 32.425 persone sono state catturate in mare dai libici.
Spesso l’aiuto offerto da singoli o organizzazioni umanitarie viene ostacolato dalla giustizia stessa. Come quella che ha condannato Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, in Calabria, a 13 anni e due mesi di carcere per aver organizzato un sistema di accoglienza per rifugiati, richiedenti asilo e migranti.