Cosa accade se non mi vaccino

Condividi

Qualche mese fa abbiamo parlato dell’eventuale possibilità di rendere il vaccino contro il Covid-19 obbligatorio, con un ragionamento che ancora oggi fila e che per certi versi vediamo avverarsi quasi giorno dopo giorno.

La voglia di ripartire è tanta e si studiando una serie di strategie per permettere a settori interi di ripartire a pieno carico. Per questo, più nazioni, si muovono sempre di più sul progetto Green Pass, oggi utilizzato principalmente per i viaggi ma che si vuole estendere anche a settori come discoteche e ristoranti, fra i più colpiti nell’ultimo anno.

In Italia Guido Rasi, ex direttore esecutivo dell’Ema e ora consulente del commissario per l’emergenza coronavirus, ha le idee chiare su come coinvolgere gli indecisi e gli esitanti sul vaccino anti-Covid. Per Rasi è necessario potenziare il piano di comunicazione istituzionale.

«Questo è il momento in cui fare una campagna anche sui social puntando soprattutto ai più giovani, alla fascia dei 30enni che è quella meno convinta a vaccinarsi e quella più a rischio contagio per la importante vita sociale che fa. Con i no vax penso invece ci sia poco da fare – spiega il microbiologo dell’Università di Tor Vergata in un’intervista su Il Sole 24 Ore, senza escludere la via dell’obbligo da valutare più in là. E poi afferma – serve un incentivo soprattutto per la fascia d’età più giovane. Userei in modo più perentorio il Green pass, senza il quale precluderei alcune cose: dai voli aerei ad alcune attività ludiche come i concerti o le partite di calcio, ma anche i ristoranti»

«Per metà luglio chi vuole potrà avere il vaccino e quindi magari si potrebbero consentire grandi tavolate solo a chi è vaccinato. Poi ci sono anche i 3 milioni di over 60 che ancora non si sono vaccinati. Lì secondo me c’è una quota che ha difficoltà logistiche. E queste vanno risolte innanzitutto grazie al medico di famiglia oppure ricorrendo al farmacista più vicino, o in extremis ricorrendo alla struttura commissariale che so che è pronta a fare la sua parte per le situazioni più difficili»

Secondo Rasi, l’ipotesi di un obbligo vaccinale per l’iniezione scudo anti-Covid si potrebbe prendere in considerazione:

«da settembre se non fossimo soddisfatti dei risultati raggiunti. In alternativa precluderei diverse attività a chi non si vuole vaccinare».

Più avanti andremo e più sarà probabile che si vada incontro all’obbligo del vaccino, soprattutto per quanto riguarda i dipendenti di determinati settori.

Ma cosa succede se il lavoratore non solo non aderisce alla vaccinazione in azienda, ma non si vaccina proprio?

A spiegarlo è Pietro Ichino, giuslavorista, professore di Diritto del Lavoro all’Università di Milano, a Adnkronos/Labitalia:

“Dipende dal settore in cui opera l’azienda e di fronte al rifiuto ingiustificato di sottoporsi alla vaccinazione da parte di persona cui questo sia stato chiesto a norma di legge, il datore di lavoro può trasferire la persona stessa ad altre mansioni che non presentino lo stesso rischio di contagio, o collocarla in ferie o sospenderla dal lavoro”.

Per capire bene quando allora il rifiuto sia “ingiustificato”, bisogna fare un passo indietro.

“La posizione del lavoratore operante in un settore diverso da quello sanitario, a fronte dell’opportunità di vaccinazione anti-Covid offerta dall’impresa, è diversa a seconda della posizione assunta in proposito dall’impresa stessa. – specificando– Se questa non ha adottato alcun provvedimento a norma dell’articolo 2087 del Codice civile (articolo che stabilisce l’obbligo della tutela del lavoro, ndr), ogni persona può decidere in tutta libertà se approfittare o no di questa opportunità. Se invece l’impresa, sentito il medico competente, ritiene che le caratteristiche del processo produttivo e in particolare le modalità di contatto dei dipendenti tra loro e con i clienti o comunque le persone terze determinino un aggravio del rischio di contagio, e conseguentemente – a norma degli articoli 2087 c.d. e 15 del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro – richiede ai propri dipendenti o parte di essi la vaccinazione come misura di prevenzione del rischio, a norma dell’articolo 20 dello stesso Testo Unico, il dipendente ha il dovere di sottoporsi a questa misura preventiva, salvo che sussista un giustificato motivo in senso contrario (per esempio la gravidanza, oppure una situazione di immunodepressione che sconsigli la vaccinazione)”

Il professore specifica poi che:

“Dal momento in cui il sottoporsi a vaccinazione diventa un dovere del dipendente a seguito di una legittima richiesta dell’impresa a norma dell’art. 2087 c.c., l’accertamento da parte dell’impresa dell’adempimento cessa di essere inibito dalla disciplina protettiva della privacy – aggiungendo – E se la vaccinazione diventa obbligatoria per motivi che riguardano la protezione imprescindibile dello stesso lavoratore e dei suoi colleghi, ecco che il rifiuto alla vaccinazione diventa ingiustificato. A fronte del rifiuto ingiustificato di sottoporsi alla vaccinazione da parte di persona cui questo sia stato chiesto a norma dell’art. 2087 c.c. e 15 T.U. – il datore di lavoro possa trasferire la persona stessa a mansioni che non presentino lo stesso rischio di contagio, anche se di contenuto professionale inferiore alle precedenti. – In alternativa – ove questa possibilità non sussista, si deve ritenere che il datore possa collocarla in ferie, o sospenderla dal lavoro senza maturazione della retribuzione. In questo senso sono orientate entrambe le decisioni giudiziali su questa materia oggi disponibili, adottate rispettivamente dal Tribunale di Belluno e da quello di Udine, entrambe precedenti all’emanazione del d.l. n. 44/2021 e motivate entrambe in riferimento all’articolo 2087 del Codice civile”

Condividi