I risultati della ricerca sul Long Covid

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Come anticipato nell’articolo precedente, le aree studiate sono state quelle in cui, come emerso dalle risonanze magnetiche, lo spessore della corteccia risultava ridotto. L’analisi dei tessuti ha rivelato alterazioni coerenti con un processo di necrosi e infiammazione in 5 dei 26 campioni di tessuto cerebrale analizzati dagli anatomopatologi.

Hanno messo nero su bianco i ricercatori, coordinati dal biochimico Daniel Martins de Souza, dichiarando:

“Con una forte predominanza di alterazioni tipiche dell’età senile. Ponendo gli astrociti, infatti, in un terreno di coltura, abbiamo inoltre riscontrato la capacità di secernere fattori solubili che potrebbero a loro volta concorrere a ridurre la vitalità dei neuroni”.

Gli autori hanno rilevato tracce del materiale genetico di Sars-CoV-2 pure nei neuroni. La presenza di filamenti doppi di Rna è servita inoltre a confermare che il virus è in grado di replicarsi a livello del sistema nervoso centrale.

Sappiamo ormai da diverso tempo che Covid-19 ha effetti rilevabili anche a livello del sistema nervoso centrale. Gli strascichi provocati da Covid-19 sono stati riportati in diversi studi. Il più ampio di questi, appena pubblicato sulla rivista The Lancet Psychiatry ha stimato che postumi neurologici e psichiatrici possono protrarsi anche per due anni dopo la guarigione dall’infezione acuta.

E a rischiare il “Neurocovid” questo il nome dato all’ampia gamma di conseguenze a carico del sistema nervoso centrale, sono anche i bambini. D’altra parte, era noto già dalle precedenti epidemie da Coronavirus (Sars nel 2002-2003 e Mers nel 2012) che tali virus possono determinare complicanze neurologiche durante o dopo l’infezione.

I primi indizi in realtà c’erano già a Wuhan, qui i primi dati relativi a complicanze neurologiche dell’infezione furono riportati in uno studio effettuato negli ospedali di Wuhan due anni fa, che evidenziava come oltre un terzo dei pazienti ricoverati mostrasse complicanze neurologiche rilevabili a livello del sistema nervoso centrale (cefalea, vertigini, confusione fino al delirium, disturbi motori e sensitivi) e di quello periferico (perdita o distorsione di gusto e olfatto e infiammazione dei nervi periferici).

Le conseguenze osservate nei mesi successivi hanno confermato come la presenza e l’entità del danno neurologico (ma non solo: numerose ricerche hanno evidenziato un aumento dei disturbi d’ansia, dell’umore, dell’uso di sostanze stupefacenti e dell’insonnia) viaggino a braccetto con la gravità della malattia da Covid-19.

Tra gli aspetti ancora da chiarire oggi, ci sono la durata nel tempo di questi strascichi (servirebbe un ulteriore scansione cerebrale a distanza di mesi o anni per verificare quanto la situazione sia eventualmente mutata) e l’effetto della vaccinazione (informazione non riportata nello studio).

L’impostazione del lavoro, il ricorso alle immagini e l’indipendenza delle conseguenze dalla gravità dell’infezione lasciano però pensare che i postumi cerebrali possano rappresentare una delle insidie maggiori del Long-Covid.

Tra le possibili conseguenze, vi è anche l’aumento delle diagnosi di malattia di Alzheimer o di altre forme di demenze senili. Da qui la decisione di creare un consorzio internazionale di ricercatori provenienti da oltre trenta Paesi, che nei prossimi anni lavoreranno per verificare l’esistenza o meno di una correlazione, in modo da correre eventualmente ai ripari con diagnosi precoci.

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