Pinocchio (2019)

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Quella di Pinocchio è una storia iniziata molti anni fa, nel 1881 con la pubblicazione de “Le avventure di Pinocchio, storia di un burattino”. Pinocchio è un classico della letteratura per ragazzi e grazie a Benedetto Croce si trova tra le grandi opere della letteratura italiana dell’800.

Di conseguenza non potevo perdermi il film in uscita nelle sale italiane a dicembre 2019 e lì rimasto per oltre un mese. Come sempre aspetto un po’, valuto la reazione delle persone ma sopratutto per goderlo a pieno, chi mi conosce sa che aspetto lo scemare della calca iniziale. Eppure devo dire che, ad un mese dall’uscita, ho trovato una sala piena, piena di genitori che a scopo “didattico” e psicologico hanno voluto intenzionalmente mostrare ai figli, cosa significa disobbedire ad un genitore.

Così la storia del piccolo burattino Pinocchio che, dopo tante peripezie, ottiene il dono di diventare un bambino vero, si tramanda di generazione in generazione.

Le nuove generazioni conoscono la sua storia grazie al cartone animato di Walt Disney, o per adattamenti cinematografici.

Personalmente sono entrata in contatto con il libro negli anni ‘90 quando a scuola la maestra ci spronava alla lettura estiva, abitudine che non ho mai più abbandonato.

Tutto ciò non fa altro che testimoniare il grande successo della storia di Collodi, ma vorrei farvi ragionare su un dettaglio che ha giocato un brutto scherzo anche a me, lasciandomi uscire dalla sala, non così tanto entusiasta, come lo fu la lettura del libro, ormai anni fa.

Tutte le favole che noi conosciamo, principalmente grazie agli adattamenti di Disney, sono antiche e nel corso del tempo più volte rielaborate. Questo ha portato dei cambiamenti nei dettagli. Per cui se prima una favola era mirata ad un pubblico adulto, da Walt Disney in poi questo mondo diventa ad appannaggio dei più piccoli.

Ma Collodi sapeva bene che dentro le fiabe possono essere contenuti insegnamenti profondi validi per ogni età della vita. Quello che ne deriva da tutto ciò è una trama del libro originale diversa da quella che tutti crediamo di conoscere bene.

Il critico letterario e prosatore Pietro Pancrazi ha interpretato Pinocchio come un monellaccio disubbidiente e viziato, come ne aveva conosciuti in Toscana. Per cui la sua metamorfosi da burattino di legno in ragazzo vero è la maturazione reale di un comune bambino toscano abituato a tante birbonerie in un giovanotto con un futuro davanti.

Alcuni elementi infatti non cambiano, il romanzo è ambientato in Toscana, poco prima dell’Unità d’Italia. La frase tipica che si sente:

«Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni!».

Nel film di Matteo Garrone, questa frase è detta proprio dal Grillo, interpretato da Davide Marotta.

Alla fine è questo quello che ha fatto Garrone, riportarci alla storia originale, quella che avevamo perso e lo ha fatto sapientemente, scegliendo di usare uno straordinario make up. Dei truccatori dalla bravura eccezionale, che hanno realizzato un trucco che ci riporta a quella forma di cinema artigianale che si sta perdendo sempre di più, davanti alle possibilità del digitale che consente perfino di ringiovanire di trenta anni Robert Downey Jr, per farlo recitare con attori attuali nel blockbuster della Marvel. Garrone, a tutto ciò ha preferito la semplicità e la tradizione.

 

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