Il rientro a scuola dopo il Covid

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Nel mondo il clima che si respira è sempre di più quello di un ritorno alla normalità.

Anche nelle Filippine, milioni di studenti sono tornati alle aule scolastiche, per la prima volta dopo più di due anni. Lo fa sapere Save the children che appoggia la riapertura in presenza scuole per l’anno scolastico 2022-2023 a condizione che le lezioni possano essere svolte in sicurezza sia per i bambini che per il personale scolastico, che la salute mentale e il benessere dei bambini siano considerati prioritari e che i sistemi educativi siano ulteriormente rafforzati.

Le Filippine sono state uno degli ultimi Paesi a tornare all’apprendimento in presenza dopo che la pandemia Covid-19 ha sconvolto l’istruzione in tutto il mondo. Circa 24.000 scuole pubbliche del Paese, ovvero poco meno della metà, riprenderanno questa settimana 5 giorni di lezioni frontali. Le altre proporranno un mix di lezioni in presenza e online fino al 2 novembre, data in cui tutti i 27 milioni di studenti registrati dovrebbero tornare in classe a tempo pieno.

Alberto Jesus Muyot, Direttore Generale per le Filippine di Save the Children ha dichiarato:

“Dopo due anni e mezzo, l’impatto della chiusura delle scuole nel Paese a causa della pandemia è diventato più evidente che mai. Oltre il 90% dei bambini filippini ha difficoltà a leggere e comprendere testi semplici all’età di 10 anni. Siamo convinti più che mai che le prolungate chiusure che hanno danneggiato l’istruzione dei bambini in tutto il Paese devono rimanere un ricordo del passato. L’istruzione non può più essere trattata come un optional e l’apprendimento dei bambini deve avere la priorità. Ogni bambino filippino, a prescindere da chi sia, da dove si trovi o da quali siano le sue condizioni, ha diritto a un’istruzione solida”.

In altre nazioni, si comincia ma la musica è diversa si opta per buttare le mascherine, il distanziamento è quasi assente in Italia; quasi ogni altra forma di contenimento del contagio, nel mondo (o almeno una gran parte del mondo) di fatto si conta ormai solo sulla vaccinazione di massa per convivere con Covid-19.

Mentre però per giovani e adulti in Europa la disponibilità di nuovi vaccini ha vissuto nelle ultime settimane un’accelerazione, con i via libera dell’Ema, uno dopo l’altro, ai nuovi prodotti bivalenti adattati alle ultime varianti, i bambini sono stati lasciati indietro, per ora nessun richiamo per quelli tra i 5 e gli 11 anni che hanno ricevuto solo 2 dosi, molti dei quali ormai da 8-9 mesi. I più piccoli, poi, affrontano il nido o la scuola dell’infanzia completamente sguarniti.

In Italia in particolare, l’atteggiamento è quello di mettere da parte la sorveglianza, per evitare la diffusione di dati che smentiscano la fiduciosa convinzione che la pandemia sia finita e le scuole comunque sono “sicure”. L’ATS Milano, per esempio, ha raccomandato agli istituti di non segnalare più i casi successivi al primo che si verificherà in ogni classe.

Ci siamo così dimenticati non solo dei più fragili in termini di salute, quelli nei quali i vaccini non riescono a evocare una risposta efficace, ma anche dei più piccoli, per i quali un vaccino ancora non c’è. O meglio, non c’è in Europa.

Negli Stati Uniti, dall’inizio dell’estate sono autorizzati gli stessi prodotti a RNA messaggero degli adulti, a dosi ridotte, dai 6 mesi in su; 2 altri vaccini pediatrici sviluppati in Cina hanno avuto semaforo verde anche dall’Organizzazione mondiale della sanità. A Cuba una campagna di massa a partire dai 2 anni di età è iniziata, prima al mondo, addirittura già a settembre dell’anno scorso, in risposta alla terribile ondata di variante delta che stava colpendo l’isola.

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